Articolo Milano 1° Giugno
Milano è una città da Boulevard senza possederne alcuno, una mancata capitale europea, con un adeguata periferia europea entro cui l'anonimato e il cemento rappresentano il primo l'incognito, il secondo metropoli.Sotto a un cielo perennemente offuscato dai fumi delle tendenze più nuove che assassinano quelle più vecchie per prenderne il posto, in un turbine di crimini da camerino, perfettamente allineati a quelli del marciapiede, sono passati due anonimi personaggi, capolino destinato a non essere nemmeno ricordato nell'olimpo degli eventi milanesi, data una sala deserta a cui abbiamo assistito alquanto allibiti, da una stampa lontano da ogni evento senza profitto e dividendi.
Il Rolling Stone è un tana incastonata in un pomeriggio che promette pioggia del 1° Giugno 2006, inutile descrivere un tempio obbligato al passaggio di pesi mosca e pesi medio welter della musica, con tutto il pubblico, voi, che avete solcato decine di volte quell'ingresso furtivo che sembra incarnare la vergogna di chi entra in un peep-show.
All'ingresso una delle tante stanghe salariate per dispensare cortesia in una ambiente in cui la cortesia è in omaggio dopo il primo drink ci traghetta a mò di Caronte dall'ingresso al "secondo livello", parola che suscita una certa inquietudine negli occhi del sottoscritto, di Francesco eletto cameraman e Andrea che mi accompagnava con una delle migliori faccie di bronzo verso l'intervista. Il "secondo livello" si rivela poi essere nient'altro che il secondo piano di una struttura metallica ricavata al di sopra dell'ingresso.
La stanga si congeda con un sorriso - tanto per cambiare - e ci troviamo nel "salotto" interviste del Rolling Stone, il campo di battaglia dove erano appena passati Rock TV e un giornalista di Repubblica per la pagina di Milano. Amanda compare nature, così come qualsiasi altro si sarebbe presentato dopo 8 ore di viaggio da Vienna e diverse altre di interviste con domande sempre tutte uguali, no trucco (eccetto per le sopracciglia dipinte come al solito), no pettine, no ceretta, per dirla in breve: no milano. Brian Viglione a ruota, con un bavero da motociclista e un'aria leggermente meno assonnata.
[spazio riservato all'intervista]
Abbandonato il "livello due" e tornati tra gli esseri umani senza pass, fuori dal locale comincia a generarsi quell'aria tipica di un pre-concerto dei Dolls, pubblico a parte sempre abbastanza al di sopra delle righe, la brigade di due simpatiche olandesi e due altrettanto bravi italiani comincia la vestizione mentre fuori un venditore ambulante di magliette tarocche finisce per prendersi con Emily White - che cura come sempre il tour - quando quest'ultima si profonde in un sermone pubblico in cui invitava i fan a comprare le originali e supportare ecomicamente la band (nonostante ciò, c'è da dire che anche il venditore ambulante - provvisto di autorizzazione - ci campa con la vendita delle magliette).
Nel piccolo Rolling Stone inzia attorno alle 19.30 la performance delle due coppie di artisti, posti ai due lati del cerchio destinato a raccogliere il migliaio di persone che lentamente confluiranno.
Si tratta di una performance di marionette umane, manovrate abilmente da due postazioni a balconcino e scandite da alcuni brani musicali.
Intermezzo di Amanda Palmer che, mischiata tra il pubblico (e dai più non riconosciuta in prima battuta), si mette a far foto e filmati ad uso personale.
Si crea, durante la distribuzione un piccolo raduno di appassionati e lettori legati alla fanzine, in cui un misero e non meglio identificato inviato della stampa cerca di estorcere informazioni per il suo articolo.
Ad aprire la serata è Thomas Truax, newyorkese solista e decisamente sufficiente con la sua unica presenza e le sue invenzioni a intrattenere per delle ore qualsiasi pubblico. Superata la diffidenza iniziale, suscitata dall'incognita dell'artista sconosciuto, Truax si esibisce in alcuni dei suoi pezzi supportati da strumenti musicali di sua invenzione: l'Hornicator - fusione tra la tromba, la chitarra e il pedale delle percussioni - e la Sister Drumster, una sorta di marchingegno che funge da batteria attraverso una serie di ingranaggi, pezzi di latta e rulli.
Truax esegue una nota, la campiona con un micro sintetizzatore e la ripete all'infinito costruendo così il motivo di base su cui suona canzoni come My friends on the Internet e altre grottesche caricature dell'umanità.
Pubblico in delirio quando abbandona il palco e comincia a correre, senza microfono e amplificazione da un punto all'altro dell'auditorium ripetendo ad ogni sua pausa il ritornello della canzone.
Truax lascia il palco, un incaricato del Rolling Stone annuncia che i Dresden Dolls vogliono ringraziare il pubblico presente e che sono onorati potersi esibire in Italia davanti ai loro appassionati. Un ringraziamento che solitamente fanno in prima persona, in inglese.
I due entrano improvvisamente scagliando sul pubblico delle viole e attaccano immediatamente con una cover dei And you Will Know us by the Trail of Death - Will you Smile Again che lascierà spazio alle canzoni più note da Coin Operated Boy, Missed Me, Girl Anachronism, Backstabber fino anche a qualche sorpresa come Shores of California, non certo tra le loro migliori composizioni. Fuori dalla scaletta rimangono clamorosamente l'ultimo singolo "Sing", per scelta antimediatica della band stessa e Dirty Business, canzone che avrebbe meritato ma anch'essa destinata alle radio negli Stati Uniti.
La cover in lingua viene rimpiazzata da Je ne veux pas travailler di Edith Piaf, in mancanza del tempo necessario al duo di preparare una canzone italiana (o forse in mancanza di una che si adeguasse al loro stile).
Il pubblico si rivela più vivace del previsto, qualcuno ingaggia qualche battuta con Amanda che non si tira indietro e risponde, scherza e provoca il pubblico a più riprese.
Il concerto è chiuso da un siparietto su Good Day che richiede l'utilizzo della chitarra. Brian ci aveva confessato nel pomeriggio che la chitarra si era rotta e non sarebbe stata utilizzata. Amanda attacca le prime note ma Brian voltandosi per prendere la chitarra va nel panico. Amanda attacca più volte, i due vanno fuori tempo, poi entra un'addetto che gli consegna la chitarra proprio quando l'introduzione che la richiedeva stava finendo, Brian si sbraccia, sbraita ma stavolta tenendo il tempo perfettamente impugnando le bacchette. Una delle tante magre figure che i Dolls si divertono a spacciare come contrattempi di scena ma che fanno parte del loro repertorio al pari delle canzoni.
L'auditorium si svuota a ridosso della mezzanotte, i due compaiono nell'atrio a firmare qualsiasi cosa (come ironicamente ha scritto Amanda "dalle vostre Bibbie alle vostre mutande") e a parlare con il pubblico presente. Solo l'intervento delle body guard in puro stile milanese ha staccato i due dal loro pubblico che spinto a forza ha lasciato il locale.