Saturday, December 16, 2006

Intervista ai Dresden Dolls - Milano 1 Giugno

trascrizione dell'intervista realizzata con Brian Viglione e Amanda Palmer il 1° Giugno 2006 a Milano in occasione dell'unica data italiana del tour per Yes Virginia.

G: Siete tornati per la seconda volta in Europa e questa sarà una delle ultime date prima di tornare negli Stati Uniti per il tour con i Panic! at the Disco. Vorrei chiedervi l'impressione che avete avuto dal pubblico europeo, rispetto a quello americano con cui vi confrontate più spesso.

B: Fantastico, questo tour ci sta dimostrando quando sia forte il supporto della gente qui. Abbiamo fatto qualche data memorabile in Inghilterra all'inizio di questo tour, poi Francia, Germania, Austria e così via... ci supportate in un modo incredibile, ci riscalda questa accoglienza. Ce ne siamo accorti dalla prima volta che abbiamo suonato, la gente era entusiasta e ci ha rassicurato su tutto quello che ci aspettava, incredibile.

G: Recentemente a Berlino sono state esposte delle istallazioni basate sulle foto realizzate da un'artista tedesco alla vostra band, l'hai menzionato anche tu Amanda sul web. Mi ha fatto tornare a mente i tuoi trascorsi di gioventù in Europa e in particolare in Germania, il tuo successivo lavoro con lo Shadowbox Collective come artista di strada, la famosa Eight Foot Bride di Boston.
La cultura europea ha un forte radicamento storico nella nostra società e i suoi segni sono presenti nella musica dei Dolls, la tua esperienza tedesca ha trasformato il tuo modo di fare arte o era già ben definito quando sei arrivata qui?

A: E' veramente una domanda interessante. Penso che la cosa più importante sia non il fatto che io sia venuta qui in Europa e che abbia sentito la sua musica, che io ne sia stata influenzata. Più che altro sono stata influenzata personalmente dall'esperienza di abbandonare casa, una vita comoda e per la prima volta nella vita mi sono sentita spaesata.
Dovevo prendermi totalmente cura di me, trovare un appartamento, crearmi una nuova vita e superare la barriera linguistica. Quello fu sicuramente l'anno in cui divenni una persona pienamente indipendente, senza alcun vincolo, è stato un punto di svolta della mia vita.
Non ho creato niente quando ero in Germania, ho deliberatamente evitato di far arrivare un pianoforte nel mio appartamento, in quel periodo ho cominciato a essere depressa e ad avere nostalgia di casa, le cose stavano cambiando.
Non ho trovato le amicizie che mi aspettavo, ho cominciato a perdere terreno, era tempo di tornare, di riappropriarmi della mia vita, quella che avevo abbandonato.
Ma è buffo perchè non ho più avuto la possibilità di confrontarmi più la cultura tedesca ed europea in America, è lo stesso paradosso che stare in tour: vedo un sacco di cose ma dal vetro del pullmann. Sono spesso stanchissima e i pochi giorni liberi l'unica cosa che mi sento di fare è dormire e non mi va di andarmene in giro.
Imparo più sulla cultura europea quando sono a casa, mi siedo con una tazza di tè e leggo. Odio cose da turisti tipo"sedetevi sull'autobus, ehi guardate quei castelli, svelti" no assolutamente.
Mi fa venire in mente un detto celebre, dice una cosa come "l'uomo più saggio al mondo può imparare molte più cose stando seduto nella sua camera che andando in giro per il mondo".
Certo, è importante come ti approcci, c'è così tanto da sapere e imparare, devi stabilire qual'è il tuo modo di assorbire tutto.

G: Le parole nelle tue canzoni. L'importanza di criticare, un modo di porsi che non è molto comune al giorno d'oggi, di denunciare o semplicemente mostrare la realtà per com'è. Yes Virginia continua una tendenza che è comune anche al primo album, che include tra le altre una canzone molto enigmatica: Half Jack.

A: Di che parla Half Jack? E' molto semplice. E' interessante ascoltare la gente che ne parla, più scavi e più alla fine diventa chiaro. E' triste, l'ho scritta quando avevo vent'anni, ero alle prese con un conflitto interiore sul non conoscere effettivamente mio padre. Non è un rapporto totalmente negativo, non lo percepivo come irrangiungibile, imperscrutabile, lui non mi ha cresciuta semplicemente.
I miei genitori divorziarono che avevo appena un anno, tutti quelli che hanno avuto i genitori separati arrivano ad un punto nella vita in cui si chiedono quanto di loro sia presente nella loro vita, perchè ti hanno generato e tu sei biologicamente legato a loro.
Attorno ai venti ho cominciato ad affrontare questa domanda, mi sentivo cresciuta abbastanza come persona, vivevo da sola e ho analizzato i miei atteggiamenti.
Ho iniziato a chiedermi da chi provenivano e sicuramente appartenevano a mia madre perchè è difficile dire che cosa provenisse da mio padre.
Questo ha dato vita alla canzone, il fatto che mio padre non ci fosse stato a prendersi le sue responsabilità, il fatto che lui mi abbia dato la vita.
Ho letto un libro scritto da un ragazzo adottato e il problema era lo stesso, non sapere da dove si viene.

G: E' una di quelle canzoni che ti fanno venire la pelle d'oca.

A: Oh, è solo come tutte le altre canzoni di Amanda Palmer, ci sono interpretazioni e tendenze a spiegare i riferimenti sulla frustrazione, sul ruolo di doverti definire per forza con esattezza. E' difficile quando la gente ti forza dall'esterno dicendoti chi sei, da dove vieni e cosa dovresti essere o diventare. Una parte di te si ribella ma è come la gente ti percepisce, e quindi la domanda è: dove sta la verità? è interessante...

AND. Dresden Dolls non era un album per tutti, richiede un ascolto solitario e un umore disposto per l'introspezione. Penso che Yes Virginia sia per un pubblico più popolare, questa tendenza ad aprirvi ad un pubblico più vasto sembra confermata dalla scelta di andare in tour con i Panic at the Disco, qualcuno dei vecchi fans sembra non apprezzare. Cosa vi ha portato alla decisione e vi siete pentiti?

A: Certamente non ce ne pentiamo. Penso che siamo una band in crescita e che siamo forzati a prendere un certo tipo di decisioni, ma non sai mai qual'è quella giusta. La scelta di andare in tour con i Panic ha un semplice ragione: raggiungere una porzione di pubblico superiore e ho fiducia nella nostra musica, fino a che non faremo compromessi sul modo in cui la facciamo va tutto bene, le scelte che facciamo per raggiungere il pubblico invece sono sempre passibili di critiche.
Ci siamo detti che andava bene, e so che saremo soddisfatti di questo tour, probabilmente ci sentiremo pronti ad andare in tour con Britney Spears dopo... forse... credo [ride].
Non devi pensare a che tipo di pubblico è, se facciamo quello che sappiamo fare [guarda Brian], se suoniamo esclusivamente per quel pubblico, se qualcuno di loro entrerà in contatto con noi e la nostra musica e uscirà pensando "mi voglio prendere il loro cd" allora ce l'avremo fatta.

AND: Pensate che la vostra musica sia cambiata e che quindi sia cambiato il modo in cui la promuovete?

A: No. B: No.

A: Il fatto che il secondo album suoni più commerciale è falso, la maggior parte delle canzoni sono state scritte in contemporanea o addirittura precedentemento al primo disco. E' solo una questione di scelte, anche dei produttori, abbiamo scelto dei produttori più "rock" del primo.
Non è che sono venuti da noi a dirci "ehi fate un disco commerciale".

AND: Quindi, che cosa sarà la vostra musica nel futuro?

A: Non ne ho assolutamente idea! Ricordo che quando abbiamo finito il primo album ed era stato appena pubblicato mi dissi: "penso di sapere già quali canzoni metterei nel secondo". E se mi guardo indietro posso dire che ci ho preso quasi su tutte. Posso dire la stessa cosa per il terzo perchè ho ancora diverse canzoni scritte tempo fa che non sono ancora state registrate.
Penso che se avessimo un pò di tempo lontano dal tour scriveremmo qualche pezzo nuovo e Brian ed io avremmo almeno 15 vecchie canzoni che vorremmo vedere incise in un disco dei Dresden Dolls. Ma chi lo sa, non posso dirtelo esattamente, magari per questo ci vorranno ancora altri 3 anni...

AND: Ci sarà una canzone cantata da Brian?

B: Sì, e sarà suonata col Sitar e la Tuba.

Thursday, October 12, 2006

Articolo Milano 1° Giugno

Milano è una città da Boulevard senza possederne alcuno, una mancata capitale europea, con un adeguata periferia europea entro cui l'anonimato e il cemento rappresentano il primo l'incognito, il secondo metropoli.
Sotto a un cielo perennemente offuscato dai fumi delle tendenze più nuove che assassinano quelle più vecchie per prenderne il posto, in un turbine di crimini da camerino, perfettamente allineati a quelli del marciapiede, sono passati due anonimi personaggi, capolino destinato a non essere nemmeno ricordato nell'olimpo degli eventi milanesi, data una sala deserta a cui abbiamo assistito alquanto allibiti, da una stampa lontano da ogni evento senza profitto e dividendi.
Il Rolling Stone è un tana incastonata in un pomeriggio che promette pioggia del 1° Giugno 2006, inutile descrivere un tempio obbligato al passaggio di pesi mosca e pesi medio welter della musica, con tutto il pubblico, voi, che avete solcato decine di volte quell'ingresso furtivo che sembra incarnare la vergogna di chi entra in un peep-show.
All'ingresso una delle tante stanghe salariate per dispensare cortesia in una ambiente in cui la cortesia è in omaggio dopo il primo drink ci traghetta a mò di Caronte dall'ingresso al "secondo livello", parola che suscita una certa inquietudine negli occhi del sottoscritto, di Francesco eletto cameraman e Andrea che mi accompagnava con una delle migliori faccie di bronzo verso l'intervista. Il "secondo livello" si rivela poi essere nient'altro che il secondo piano di una struttura metallica ricavata al di sopra dell'ingresso.
La stanga si congeda con un sorriso - tanto per cambiare - e ci troviamo nel "salotto" interviste del Rolling Stone, il campo di battaglia dove erano appena passati Rock TV e un giornalista di Repubblica per la pagina di Milano. Amanda compare nature, così come qualsiasi altro si sarebbe presentato dopo 8 ore di viaggio da Vienna e diverse altre di interviste con domande sempre tutte uguali, no trucco (eccetto per le sopracciglia dipinte come al solito), no pettine, no ceretta, per dirla in breve: no milano. Brian Viglione a ruota, con un bavero da motociclista e un'aria leggermente meno assonnata.

[spazio riservato all'intervista]

Abbandonato il "livello due" e tornati tra gli esseri umani senza pass, fuori dal locale comincia a generarsi quell'aria tipica di un pre-concerto dei Dolls, pubblico a parte sempre abbastanza al di sopra delle righe, la brigade di due simpatiche olandesi e due altrettanto bravi italiani comincia la vestizione mentre fuori un venditore ambulante di magliette tarocche finisce per prendersi con Emily White - che cura come sempre il tour - quando quest'ultima si profonde in un sermone pubblico in cui invitava i fan a comprare le originali e supportare ecomicamente la band (nonostante ciò, c'è da dire che anche il venditore ambulante - provvisto di autorizzazione - ci campa con la vendita delle magliette).
Nel piccolo Rolling Stone inzia attorno alle 19.30 la performance delle due coppie di artisti, posti ai due lati del cerchio destinato a raccogliere il migliaio di persone che lentamente confluiranno.
Si tratta di una performance di marionette umane, manovrate abilmente da due postazioni a balconcino e scandite da alcuni brani musicali.
Intermezzo di Amanda Palmer che, mischiata tra il pubblico (e dai più non riconosciuta in prima battuta), si mette a far foto e filmati ad uso personale.
Si crea, durante la distribuzione un piccolo raduno di appassionati e lettori legati alla fanzine, in cui un misero e non meglio identificato inviato della stampa cerca di estorcere informazioni per il suo articolo.
Ad aprire la serata è Thomas Truax, newyorkese solista e decisamente sufficiente con la sua unica presenza e le sue invenzioni a intrattenere per delle ore qualsiasi pubblico. Superata la diffidenza iniziale, suscitata dall'incognita dell'artista sconosciuto, Truax si esibisce in alcuni dei suoi pezzi supportati da strumenti musicali di sua invenzione: l'Hornicator - fusione tra la tromba, la chitarra e il pedale delle percussioni - e la Sister Drumster, una sorta di marchingegno che funge da batteria attraverso una serie di ingranaggi, pezzi di latta e rulli.
Truax esegue una nota, la campiona con un micro sintetizzatore e la ripete all'infinito costruendo così il motivo di base su cui suona canzoni come My friends on the Internet e altre grottesche caricature dell'umanità.
Pubblico in delirio quando abbandona il palco e comincia a correre, senza microfono e amplificazione da un punto all'altro dell'auditorium ripetendo ad ogni sua pausa il ritornello della canzone.
Truax lascia il palco, un incaricato del Rolling Stone annuncia che i Dresden Dolls vogliono ringraziare il pubblico presente e che sono onorati potersi esibire in Italia davanti ai loro appassionati. Un ringraziamento che solitamente fanno in prima persona, in inglese.
I due entrano improvvisamente scagliando sul pubblico delle viole e attaccano immediatamente con una cover dei And you Will Know us by the Trail of Death - Will you Smile Again che lascierà spazio alle canzoni più note da Coin Operated Boy, Missed Me, Girl Anachronism, Backstabber fino anche a qualche sorpresa come Shores of California, non certo tra le loro migliori composizioni. Fuori dalla scaletta rimangono clamorosamente l'ultimo singolo "Sing", per scelta antimediatica della band stessa e Dirty Business, canzone che avrebbe meritato ma anch'essa destinata alle radio negli Stati Uniti.
La cover in lingua viene rimpiazzata da Je ne veux pas travailler di Edith Piaf, in mancanza del tempo necessario al duo di preparare una canzone italiana (o forse in mancanza di una che si adeguasse al loro stile).
Il pubblico si rivela più vivace del previsto, qualcuno ingaggia qualche battuta con Amanda che non si tira indietro e risponde, scherza e provoca il pubblico a più riprese.
Il concerto è chiuso da un siparietto su Good Day che richiede l'utilizzo della chitarra. Brian ci aveva confessato nel pomeriggio che la chitarra si era rotta e non sarebbe stata utilizzata. Amanda attacca le prime note ma Brian voltandosi per prendere la chitarra va nel panico. Amanda attacca più volte, i due vanno fuori tempo, poi entra un'addetto che gli consegna la chitarra proprio quando l'introduzione che la richiedeva stava finendo, Brian si sbraccia, sbraita ma stavolta tenendo il tempo perfettamente impugnando le bacchette. Una delle tante magre figure che i Dolls si divertono a spacciare come contrattempi di scena ma che fanno parte del loro repertorio al pari delle canzoni.
L'auditorium si svuota a ridosso della mezzanotte, i due compaiono nell'atrio a firmare qualsiasi cosa (come ironicamente ha scritto Amanda "dalle vostre Bibbie alle vostre mutande") e a parlare con il pubblico presente. Solo l'intervento delle body guard in puro stile milanese ha staccato i due dal loro pubblico che spinto a forza ha lasciato il locale.

Tuesday, May 30, 2006

Good For Nothing - N#3 "Join the Renaissance"


Good for Nothing N#3 è uscito in occasione del concerto del 1° Giugno a Milano dei Dresden Dolls. In questo numero tra le altre cose: incontro con i Baustelle, la Fiera del Libro, El Esperpento e il teatro dell'assurdo, Christopher Nolan "Doodlebug", un reportage fotografico da Boston, racconti e poesie...

E' inoltre uscito il N#0 in lingua inglese

clicca qui per scaricarli dalla pagina download

Sunday, April 02, 2006

Good For Nothing - N#Extra - "Yes Virginia"


E' uscito il terzo numero della Fanzine, dedicato alla prossima uscita dei Dresden Dolls (14 Aprile), l'album "Yes, Virginia". In aggiunta a questo numero in palio 5 biglietti da estrarre tra i nostri lettori per il concerto di Milano del 1° Giugno al Rolling Stone + 5 singoli di "Sing" il primo estratto dal disco.
Una collaborazione direttamente con RoadRunner e Universal da questo numero in vista delle tappe di avvicinamento alle date del tour Europeo.

Scarica la fanzine cliccando qui.

(in più: Brigading - artisti volontari ai concerti dei DD, Sing - il regista Michael Pope e il nuovo video, Musica - Cabaret Voltaire, Personaggi - Marlene Dietrich)

goodfornothing@hotmail.it

Monday, March 27, 2006

la scalata al potere della fanzine

eventuali discussioni, polemiche e critiche, scrivete all'indirizzo: goodfornothing@hotmail.it

il post oggetto di polemica è stato rimosso (non i commenti) dato che riteniamo di aver dato sufficienti spiegazioni e aver chiarito l'incidente e non abbiamo alcun interesse ad alimentarlo, anche se pare si autoalimenti. Questo non è il sito ufficiale della fanzine (che è all'indirizzo: goodfornothing.altervista.org) ma il blog della redazione, il cui spazio pubblico è riservato alla discussione interna per la realizzazione dei numeri.
Siamo felici di vederci recapitare ogni forma di critica o insinuazione nefasta via email, ammesso che l'assenza di pubblico desti qualche interesse agli agitatori.

Wednesday, February 15, 2006

Goof For Nothing N#1!





english:


Good for Nothing N#1 is out, click here to view italian version (requires Acrobat Reader).
We're still in search for translater that are able to help us with english version
contact us: goodfornothing@hotmail.it
from now on contact web site with english page: http://goodfornothing.altervista.org

italiano:

E' uscito il n°1 della rivista, puoi scaricarlo direttamente cliccando qui.

da oggi è attiva la pagina web
http://goodfornothing.altervista.org

d'ora in poi il materiale della fanzine sarà esclusivamente scaricabile da lì, mentre questa pagina è adibita a redazione del giornale, per decisioni e lavorazione dei numeri.

Tuesday, January 24, 2006

JASON LUTES: BERLIN, LA CITTA DELLE PIETRE

il mio articolo per la fanzine su lutes

Raramente il fumetto si è dato alla storia, ancora più raramente in tempi recenti, fatta eccezione per quel Maus di Art Spiegelman, opera a carattere pedagogico per spiegare l'olocausto attraverso una comunità di topi.

Ed è innegabile che da quel Maus, opera unica e con tutti gli elementi del romanzo e del cinema d'autore, prende le mosse La città delle Pietre, che da Spiegelman fa un passo avanti verso un approccio più coraggioso e verista della storia.
Sebbene il panorama fumettistico europeo sia di gran lunga soverchiato dalla scuola americana, i nostri disegnatori più che guardare a oriente o agli esponenti della scena pulp, dovrebbero imparare la lezione di questi due disegnatori americani, che hanno sviscerato la cultura europea del '900, assimilandola e facendola propria: Berlino non è mai stata raccontata con la stessa efficacia dagli occhi di un autore americano, per giunta nato quarant'anni dopo i fatti narrati. Difficilmente troviamo in autori del vecchio continente la stessa consapevolezza del bagaglio culturale e della molteplicità di fermenti artistici che hanno impattato contro la seconda guerra mondiale e che dopo questa, sono andati persi.
La lezione di Lutes per noi europei, contenuta in quest'opera la cui lavorazione è durata ben 5 anni, è un monito a non dimenticare le enormi particolarità che l'Europa porta con se e che sono un bagaglio d'identità irrinunciabile, dal momento in cui nella diversità culturale il continente ha trovato i suoi più grandi progessi, ed è strano che a ricordarcelo adesso sia proprio un americano. Non si trova la stessa perizia nella ricostruzione dei particolari in nessun altra opera contemporanea e una conspevolezza storica altrettanto ben resa: senza troppi incisi l'autore rappresenta un biennio 1927-29 a Berlino, fruibile anche a chi non padroneggia troppo la storia.
E le molteplici anime che compongono la società tedesca durante la Repubblica di Weimar, all'alba dell'ascesa di Hitler alla Cancelleria, rivivono attraverso le diverse estrazioni culturali, ceti sociali, aspettative e ideali dei personaggi che si intrecciano in un armonia perfetta durante tutto il corso delle oltre 200 pagine di questo piccolo spaccato storico. Il tratto a china è minimale ma scolpisce i lineamenti e le essenze dei caratteri in gioco, senza bellezze particolari ma rendendo giustizia ai solchi delle sofferenze di un paese alla fame dopo un decennio dalla fine della seconda guerra mondiale, un tratto che non a caso ricorda in alcune vignette le litografie di denuncia sociale di Daumier, esponente del realismo francese di fine '800.
Una Repubblica e una classe politica che ha dato enormi libertà culturali e che ha favorito il nascere di una nuova ventata intellettuale in una Germania da decenni vittima di un nazionalismo cupo e fatalista: l'accademia di Berlino entro cui muovono parte dei personaggi, i Cabaret, la liberazione della sessualità femminile, il ruolo dei letterati e dei giornalisti impegnati a reggere il prestigio delle istituzioni che garantiscono questo ordine nonostante la grave crisi economica e le crescenti contestazioni sociali. Lutes non cade nell'errore di tanti americani nel raccontare lo scontro tra comunismo e nazismo e rende giustizia degli ideali e della rabbia della classe lavoratrice, commovente lo spaccato in cui clandestinamente i lavoratori si ritrovano di notte per commemorare l'assassinio di Rosa Luxemburg davanti alla celebre sede del partito comunista tedesco. Una Repubblica presa d'assalto da due fronti, quello dei comunisti e quello dei nazisti che duramente pian piano occuperanno le strade scontrandosi frontalmente e inghiottendo le deboli isituzioni del paese travolte dalla crisi di Wall Street del 1929. Ed è in quella città delle pietre, usate come armi negli scontri, che la parabola di questo romanzo a fumetti si chiude, il 1° Maggio del 1929 dove tutti i nostri personaggi si ritrovano, con ruoli diversi in strada, per scelta o per caso a fare i conti con la storia.